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      Il fatto stava a questo modo.
      D. Litterio aveva una fante bella e fresca, per cagion della quale si potea muover dubbi sulla illibatezza della sua fede coniugale. Questa giovane dando retta ai sospiri quinquagenari del padrone, non era però sorda a quelli d'un ragazzo di stalla che serviva in casa. Per la catena di questo amore, il segreto del podestà, che doveva quella notte andar a cavar un tesoro, venne scendendo fino allo stalliere. Questi aveva amici alcuni uomini della banda di Pietraccio (tale era il nome di quel masnadiere), ed aggiustò le cose in modo che se il tesoro si trovava, venisse almeno in parte nella sua borsa, invece di scendere intero in quella del suo padrone.
      Ora innanzi che noi torniamo a D. Michele è necessario che il lettore abbia notizia dei luoghi ove accaddero i fatti che siamo per narrare.
      Sulla testa del ponte pel quale si giunse all'isoletta di S. Orsola, era eretta una torre quadrata, massiccia, simile a un dipresso a quella che trova sul ponte Lamentano chi da Roma voglia andare in Sabina. Il passo era chiuso da una grossa porta, da una saracinesca che si lasciava cadere al bisogno, e da un ponte levatoio. Si saliva per una scala a chiocciola ai due piani superiori ov'erano alloggiati il comandante ed i soldati, e in cima v'era un terrazzo circondato da merli, fra i quali si vedevano uscire le bocche di due falconetti.
      La badessa del monastero, rivestita dei diritti baronali, vi teneva alla guardia una compagnia di ottanta fanti fra picche ed archibusi, guidata da un tal Martino Schvarzenbach tedesco, soldato di ventura, il quale trovava più comodo lo starsi a grattar la pancia in quella torre ben pagato e meglio pasciuto, che l'andar tribolando la vita sua in campagna ed in guerra, ove avea conosciuto che il diletto di malmenare e svaligiare i popoli, era spesso turbato dalla palla d'un archibugio o della punta di una partigiana.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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