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      Martino si trovava con troppi affari in una volta, e la sua testa non vi reggeva. Con una mano alla barba e l'altra dietro le reni, camminava per la camera scuotendo il capo e soffiando. La subita mossa delle genti da Barletta l'ammoniva a prestar fede a D. Michele, che l'aveva preveduta tanto sicuramente, e gli facea pensare che fosse realmente quell'uomo d'alto affare che diceva.
      Prima di tutto decise d'aggiustarla con lui, onde non lo scoprisse quando capitasser quelli che andavano in traccia degli uccisori del podestà. Così, deposta ogni superbia, e mezzo raccomandandosi, gli disse che l'avesse per cosa sua, promettendogli che l'avrebbe ajutato nella sua impresa.
      Appena terminato quest'accordo, si sentì lo scalpitar di molti cavalli che entravano pel ponte; ed una voce chiara e forte come una tromba, che chiamò più volte: - Conestabile! Schvarzenbach! - Scese questi, e trovò che Fieramosca e Fanfulla da Lodi lo aspettavano alla testa di molti cavalleggieri.
      Il lettore si ricorderà forse d'aver veduto il secondo annoverato fra i campioni italiani.
      Fra quanta gente d'arme contasse l'Italia non v'era l'anima più disperata di costui. Per ogni leggiera cagione, e senza cagione più spesso, metteva la vita a qualunque rischio. Senza pensieri, non attendeva che a darsi buon tempo, ed al bisogno menar le mani. Agile come un leopardo, tutto nervo, e d'un corpo snello e ben complesso, pareva che la natura, sapendo che in quello doveva abitare un'anima temeraria sino alla pazzia, avesse avuto cura di formarlo in modo che potesse essere atto a resistere alle prove più perigliose.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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