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      Il cortile, le logge erano tese di parati di seta di tutti i colori con ghirlande di mortella e d'alloro, che formavano festoni e cifre; e tutte le bandiere dell'esercito pendevano ondeggianti dai balconi e dalle finestre. La turba composta di spettatori oziosi e d'uomini che s'affaccendavano a metter in ordine l'apparato, brulicava, ora stringendosi, ora allargandosi per le scale, pel cortile, per le logge. Soldati, operai, servitori, ragazzi andavano e venivano carichi d'attrezzi, di scale, di suppellettili d'ogni sorta, per fornir la mensa od adornar il teatro. Entravano grasce, frutta, vini, cacciagioni, di che i primi della città e dell'esercito a gara presentavano il Capitano di Spagna. Era un andare e venire, un gridare, un chiamarsi; in conclusione, un disordine inestimabile.
      Quando la campana della torre suonò quattordici ore comparì in cima alla scala esterna il gran Capitano con tutti i suoi baroni; e l'allegrezza che sentiva di riveder la figlia (una staffetta giunta poco prima per annunziare il suo arrivo l'avea lasciata a tre miglia da Barletta) avea voluto mostrarla nella gala del suo vestire e di quello del suo corteggio.
      Sopra una vestetta di drappo d'oro riccio portava una cappa di velluto pavonazzo acceso, foderata di zibellino, ed in capo una berretta compagna. Da un bellissimo zaffiro che serviva di fermaglio spuntava un pennacchio lungo poco più d'un palmo, ma interamente composto di perle fine infilzate in fili d'acciaio, e ondeggiava leggiero sulla fronte come fosse di piuma veramente.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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