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      Ma la statura del cavaliere, la sua grave armatura e l'aiuto d'un freno lungo mezzo braccio che insanguinava la bocca al cavallo, glielo facevan soggetto, e dopo aver fatti nel muoversi cento strani salti (e nessuno era tardo a dargli luogo) prese il savio partito di non stimarsi pių forte di Diego Garcia, che inchiodato fra gli arcioni rideva di quegl'inutili sforzi.
      Il fiore della gioventų italiana veniva di conserva coi baroni spagnuoli. Ettore Fieramosca cavalcando fra i suoi due amici pių cari, Inigo Lopez de Ayala e Brancaleone, portava un mantello di raso azzurro ricamato in argento, lavoro e dono delle donne di S. Orsola. Aveva grido d'esser il primo dell'esercito nel maneggiare un cavallo. Quello che aveva sotto, color di perla coi crini scuri, donatogli dal signor Prospero, era stato addestrato da lui con tanto studio, che pareva capisse senz'aiuto di briglia o di sproni tutti i voleri del suo signore.
      Pareva che Fieramosca avesse il dono di far sempre la prima figura in ogni cosa e fra tutti, ovunque si trovasse.
      Perfetto nelle forme del corpo, ne mostrava la gentile struttura con un vestire stretto alla carne, che in ispecie alle gambe ed alle coscie non gli faceva una piega, tutto di raso bianco; ed era tanta la sua bellezza, la grazia nell'atteggiarsi che, passando la cavalcata per le strade, le turbe guardavano lui solo, e di lui solo si maravigliavano. Il giovine s'avvedeva di questo trionfo, ma quasi fra sč arrossiva di cogliersi in un pensiero che appena si vuol perdonare all'altro sesso.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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