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      - L'altro seguitava a dar tratti, tirate e scosse, e finchè quel pover uomo non fu a terra tutto pesto e pieno di graffiature, non fu contento. Ciò fatto, e dicendogli con pace: - Me ne dispiace al cuore, ma non te lo dicevo io che la giostra l'avevi veduta? - fece con diligenza salir Zoraide e Gennaro, e si cacciò tra la folla ridendo delle mille villanie che gli mandava dietro colui, che s'andava racconciando, e tastandosi se aveva nulla di rotto, raccoglieva il cappello, la spada, i guanti, durando fatica a rimettersi di quella sconfitta.
      Zoraide intanto, che dal luogo procurato dalla vittoria di Fanfulla scorgeva ottimamente tutto l'anfiteatro, volse l'occhio in giro e lo fermò sul balcone in faccia, ove scorse Ettore che, seduto accanto a D. Elvira fra i primi baroni, l'intratteneva, e procurava colla sua cortesia di mostrarsi degno d'esserle destinato cavaliere in quel giorno. La giovane Spagnuola di cuor caldo e di mente fervida, ed in parte anche leggiera, voleva forse attribuire a quelle attenzioni una causa che in lei lusingava del pari l'amor proprio ed il cuore. Il loro dialogo aveva spettatrici due donne, che a distanze diverse, e con sentimenti dissimili, pur non ne perdevano un cenno. L'una era Zoraide che, troppo lontana per poter udire i loro ragionamenti, vi prendeva però premura tale, e tanto attentamente seguiva ogni lor moto da doversi accorger che la figlia di Consalvo sapeva apprezzare quanto valesse il prode italiano, e non lo guardava colla sola benevolenza della cortesia; non si sentiva di dar giudizio quali fossero i pensieri di Fieramosca, ma un cuore nei termini ove si trovava il suo suol tremare d'un'ombra.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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