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      A così bestiali parole rispose Diego Garcia con altrettante e maggiori; l'uno e l'altro fecero segno di por mano all'arme: a questa rissa, che succedeva nel palco dei cavalieri, si volsero Consalvo, il duca di Nemours e tutti gli spettatori; e per dirla in breve, ne nacque un'altra sfida colla quale Garcia, montato in superbia, con aita e terribil voce chiamò i Francesi, e s'offerì combatterli a cavallo, e mostrar loro che gli Spagnuoli anche in questo modo non tanto gli eguagliavano, ma erano dappiù di loro.
      I capitani di Francia e Spagna vedevano con piacere lo spirito marziale mantenersi ed accrescersi nei loro eserciti col mezzo di queste gare, che parevano in quei tempi rinnovare i romanzeschi fatti narrati dai poeti e dai trovatori. Accordarono quindi licenza anche per questa disfida, ed in pochi momenti fu stabilito il numero ed il nome de' guerrieri, e si combattesse dieci contra dieci fra due giorni lungo il lido sulla strada di Bari. Ma posero per condizione che di questa lite più non si facesse parola per quel giorno, onde le feste non ne venissero turbate. I cavalieri delle due parti furono contenti, ne dieder segno stringendosi la mano, e tornaron tutti tranquillamente ai loro luoghi.
      Mentre succedevano questi trattati, gli uomini che avean cura della piazza ne toglievano il corpo dell'ultimo toro, e spargendo rena e segatura sul luogo ove era caduto, ne facevano sparire ogni traccia di sangue. Fanfulla ch'era loro guida ebbe da Consalvo l'ordine di ammannire per la giostra; in pochi minuti fu innalzato in mezzo all'arena un tavolato a guisa d'un muro, retto da pali fitti in certi buchi già prima preparati a quest'uso.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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