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      La struttura del cavaliere non aveva in sè nulla di straordinario, ed anzi, per quanto si poteva giudicare sotto l'arnese, non annunziava il vigore ordinario agli armeggiatori di quell'epoca. Venne avanti, atteggiando il cavallo che, leggermente tentato dallo sprone, e rattenuto dal freno, si raggruppava e procedeva scalpitando, e volgendo or qua or là il collo e la groppa formata in arco, e colla coda ondeggiante sferzava e sollevava la rena.
      Venne a fermarsi rimpetto a D. Elvira, e dopo averla salutata abbassando la lancia, percosse con quella tre colpi sullo scudo di Inigo. Prendendola poi colla sinistra che già reggeva e briglia e scudo, pose mano all'azza che gli pendeva dall'arcione e ne percosse due volte lo scudo a Correa; e ciò volea dire che chiedeva al primo tre colpi di lancia ed al secondo due d'azza. Fatta la qual cosa, tornò all'entrata dell'anfiteatro.
      Si trovò Inigo nello stesso tempo al suo luogo dirimpetto, entrambi colla lancia alla coscia e la punta in aria. Bajardo, che sin allora aveva tenuta alzata la visiera mostrando il volto coperto d'estremo pallore, pel quale molto si maravigliava ognuno che volesse e potesse combatter quel giorno, se la fece abbassare e chiudere dal suo scudiere, dicendogli che malgrado la quartana (ed in fatti da quattro mesi lo travagliava) aveva fiducia di non vituperare quel giorno l'armi francesi.
      Al terzo squillo di tromba parve che un solo spirito animasse i due guerrieri ed i loro cavalli. Curvarsi sulla lancia, dar di sprone, partir di carriera colla rapidità del volo, furono cose simultanee, ed ambi i cavalieri le eseguirono con pari furia e rovina.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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