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      Al secondo, succedette lo stesso. Conosciuto Bajardo il fare dell'avversario, mosse la terza volta con maggior furia, e Correa dovè far lo stesso; ma quando si trovaron quasi a fronte, il Francese fermò a un tratto sulle groppe il cavallo nel punto che il suo nemico non aspettando tal cosa avea levato in aria il suo credendo vibrare il colpo, ma ricadde senza averlo potuto. Bajardo colse con incredibil prestezza il momento, alzò l'azza a due mani, diede di sprone, e ritto sulle staffe calò sull'elmo di Correa un grandissimo fendente che lo piegò sul collo al cavallo, e quando gli spettatori aspettavano che si rizzasse, invece venne a terra stordito e dai suoi scudieri fu portato fuor dall'arena. Bajardo uscì anch'esso salutando il balcone di D. Elvira fra gli evviva di tutto l'anfiteatro ed i suoni che celebravano la sua vittoria. Dovette però tornar tosto indietro e combattere Azevedo, che, fattosi avanti, s'offeriva fornire la sfida in luogo del suo compagno. La zuffa durò più a lungo e con varia fortuna: pure fu giudicato averne la meglio il cavaliere francese.
      Presso all'entrata, fuori dell'anfiteatro erasi accomodato un luogo chiuso da uno steccato ove potessero i cavalieri che volevan combattere, tenervi i cavalli, i famigli ed armarsi. Consalvo avea provveduto che vi trovassero quanto era loro mestieri. V'eran più tavole per deporvi le armi, un fabbro con una fucinetta portatile, se mai si fosse dovuto racconciare qualche parte d'arnese, e finalmente una credenza fornita di vivande e di vini.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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