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      Poi m'acconciai per aver soldo con quello sciaurato del Valenza; finchè, come Dio volle, mi son tornato coi Francesi; e con loro almeno sulla condotta non ci piove e non ci nevica, e ad ogni fin di mese snocciolano fiorini, come il banco Martelli di Firenze.
      - Ma quest'elmetto, - soggiungeva Brancaleone, - come reggerebbe ad un buon fendente?
      - Oh! - rispose l'altro, - di questo non ho un pensiero. Prima è acciaio di Damasco e di una tempra che non v'è al mondo la migliore; e poi ti so dire che quando in battaglia mi accorgo che mi si vuol cacciar le mosche dal capo, m'ajuto collo scudo in modo che è bravo chi m'arriva: vedi, - e gli mostrava lo scudo e la correggia colla quale s'attaccava al collo, - vedi come la tengo lunga, per avere spedito il braccio.
      Brancaleone non disse altro, guardò di nuovo ben bene la barbuta volgendola da tutti i lati, e facendola sonare colle nocche delle dita con un certo fare tutto suo; poscia apertala, l'adattò egli stesso al cavaliere.
      In questo frattempo erasi combattuto fra i tre Spagnuoli e Bajardo nel modo che si è narrato. Questi, vinto ch'egli ebbe, venne ove Grajano appunto avea finito di armarsi, e stava per montar a cavallo. Il cavaliere astigiano disse al vincitore qualche cortese parola, e vedendo che Brancaleone non badava loro, gli domandò quanto valessero gli avversarj.
      Bajardo toltisi i guanti di ferro e l'elmetto li deponeva sulla tavola asciugandosi il sudore, e diceva:
      - Don Inigo de Ayala, bonne lance, foy de chevalier.
      Ed anche agli altri accordava quelle lodi che credeva meritassero; diede al guerriero che usciva a combattere alcuni avvisi sul modo di governarsi, che non andaron perduti.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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