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      Alla puntura dei rimorsi un'altra se n'era aggiunta egualmente terribile: il sospetto d'esser tradita da quello al quale avea fatto il sacrificio immenso di disobbedire alla voce del dovere e della coscienza. Era un dubbio che la sua mente respingeva, ed il cuore abborriva, ma in conclusione il dubbio era nato; chi ne fece la prova può dire se sia cosa facile di dissiparlo. E per verità, se ciò che temeva era falso interamente, varie circostanze potean nondimeno dargli l'apparenza del vero.
      Ettore avea saputo bensì celarle l'incontro di Grajano, ma, avvezzo com'era ad aprirsele in tutto, non riuscì ad infingersi tanto che ella non s'avvedesse essere nel di lui cuore riposto un segreto del quale non voleva metterla a parte.
      Dall'altro canto i modi tanto diversi di Zoraide le erano come una spina che non poteva svellersi dal cuore. E pensava: Chi m'assicura che Ettore anch'esso non abbia indovinato? chi m'accerta ch'egli non la curi? E quando da tutti questi argomenti cercava dedurre una conseguenza, si smarriva in un laberinto di dubbi senza trovare il filo ad uscirne.
      Stanca la mente da tanto travaglio, s'alzò per trovar con chi parlare e distrarsi, e cercò di Zoraide; in casa non v'era: scese in giardino, neppure: domandò nel monastero ai pochi rimasti, e nessuno sapeva ove fosse. Si sentì una stretta al cuore, e mille sospetti indefiniti le si affollarono alla mente; nel far questa ricerca s'era trovata presso la torre che difende l'entrata dell'isola. La vide abbandonata e nemmeno un uomo di guardia; tutti, partito il conestabile, erano andati uno ad uno a goder delle feste.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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