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      - Zoraide che aveva pel capo tutt'altro, e neppur essa poteva ben definire quali pensieri, quali sospetti avesse, rispose con una stretta di spalle, e se n'andò, desiderando non meno di Ginevra d'esser sola; Gennaro rimasto, ivi colla berretta in mano borbottava incamminandosi pe' fatti suoi: - Son tutte ad un modo! Chi le capisce è bravo!
      Ginevra intanto per una scaletta saliva in camera, ma ad ogni gradino le pareva d'avere il mondo addosso; le cresceva l'anelito, sentiva battere il cuore con tanta furia, che quasi si veniva meno. Diceva continuamente sotto voce: Vergine mia ajutatemi; e crescendo l'affanno, non potea dir altro che mio Dio! mio Dio! ed alla fine fu tale la stretta, che si sentì mancar le ginocchia e dovette sedersi al quarto o quinto scalino ove avea potuto giungere appena; e con un respirare interrotto e frequente, e la fronte molle d'un sudore di spasimo pensava: Io non sarò mai viva domattina! Quantunque avesse sentito Zoraide andar per altra parte alla sua camera, e chiudervisi, ed essendo dopo il mezzogiorno sull'ore calde, sapesse le monache starsi ritirate a riposare nelle loro celle, pure il sospetto di poter esser trovata ivi e così sottosopra le dava grandissimo travaglio: e per fuggirne il rischio, deposto il pensiero di salir più in camera, risolvette invece d'andarsene, per la porticella del chiostro, in chiesa, ove s'avvedeva oggimai dover solo cercar aiuto e difesa contro i mali che la minacciavano. Così il meglio che potea si condusse fin là, ora attenendosi ai muri, ora facendo ogni opera per camminar come il solito, quando o vedeva qualche conversa girar per gli anditi, ovvero qualche monaca far capolino dalla finestra.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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