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      Nella chiesa non v'era persona: si buttò a sedere sul primo gradino del coro che si trovò vicino, e stette un buon pezzo col capo fra le mani ed i gomiti sulle ginocchia per riprender gli spiriti, e colla mente confusa in tanti pensieri, che si può dire non ne avesse propriamente alcuno.
      Dietro all'altar maggiore si scendeva per otto o dieci gradini di marmo in una cappelletta sotterranea, ove cinque lampade d'argento ardevano dì e notte avanti un'immagine della Madre di Dio, dipinta sul muro da S. Luca, per quel che si credeva da ognuno. I miracoli, che la fama diceva operati in questo luogo, erano stati cagione che si fabbricasse poi la chiesa ed il monastero. Il luogo era in forma d'un esagono, e nel lato rimpetto alla scala era l'altare e l'immagine; ad ogni angolo, una colonna, con un capitello a grossi fogliami di antica maniera, reggeva una delle spine della volta che al sommo si congiungevano tutte in un tondo di pietra come una macina, il quale aveva in mezzo un foro largo un braccio, chiuso da una ferrata, e rispondeva su in chiesa avanti la predella dell'altar maggiore. Un sottil raggio di sole che entrava per le invetriate a colori d'uno dei finestroni della volta, si facea strada per quel foro sino nel sotterraneo. Fra le tenebre diradate appena dalla luce debole e rossiccia delle lampade scendeva visibile il raggio formando in aria una striscia, e riproduceva sul pavimento i colori dei vetri e la forma della ferrata. Andò Ginevra a porsi ginocchioni a piè dell'altare, e, nel passare a traverso quel raggio, la luce riflessa dalla sua veste azzurra rischiarò a un tratto, come un lampo d'un lume pallido, tutta la cappella.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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