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      Ma questo uscendo dalla caverna e vomitando fiamme si difendea così bene che, dopo una battaglia di pochi minuti, Giasone dovette rinunziare all'impresa. I suoi compagni allora con molte preghiere l'esortavano a servirsi degli incanti; ed egli così facendo riusciva ad assopire il dragone, e spiccava il vello senza contrasto. Ciò fatto, ritornava Medea sollecitando tutti per riporsi in nave con esso lei: si udiva allora nella terra dar nelle trombe e sonar cembali, chiarine ed altri stromenti moreschi. Poco dopo usciva un giovane a cavallo in abito saracino a sfidar Giasone, che accettava l'invito ed in pochi colpi l'abbatteva; e mentre volea salire in nave co' suoi, sopraggiungendo Oeta colla sua baronia, e vista fuggir la figlia, e a terra morto il figlio Absirto, ordinava che s'impedisse agli Argonauti di partire. Medea allora cominciava i suoi incanti; l'aria si faceva oscura, e molti uomini, stranamente vestiti in sembianza di demoni, scorrendo colle fiaccole finivano coll'incendiar Babilonia, e portar con loro il re e tutti i baroni, nel tempo che si scorgeva in fondo gli Argonauti andarsene liberi al loro viaggio. Così finiva il dramma.
      Quelli fra i nostri lettori che troppo s'invanissero della squisitezza de' moderni teatri, considerino che il talento, col quale oggi si sa in certi spettacoli cavar gli applausi degli spettatori, e che consiste nel disporre le cose in modo che finiscano sempre con qualche incendio, o qualche rovina, o coll'Olimpo, o col Tartaro, non è nuovo nella nostra età, ma serviva già le scene, ed era apprezzato dal pubblico del millecinquecento.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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