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      L'ingresso del cortile era aperto a tutti, perciò la folla era grandissima; e se tutti egualmente per la situazione diversa non potevan godere del divertimento, quelli che ne stavan lontani si rifacevano collo schiamazzare, e cacciar urli e fischi che dai più vicini al palco eran uditi con segni di sdegno, ed inutilmente repressi con dei zitto, lanciati or da un angolo or da un altro, e che invece di servir di freno, eran piuttosto di stimolo ai perturbatori.
      Fra tanta gente intesa a darsi buon tempo, s'aggirava un uomo che, non ostante la sua povera apparenza ed il vestire dimesso, aveva un viso ed un portamento che non permetteva di confonderlo colla rimanente turba, e nel suo aggirarsi irrequieto e sollecito, mostrava che il fine che qui lo conduceva era tutt'altro che quello di divertirsi. Quest'uomo era Pietraccio; che venuto sin qui senza ostacolo per ammazzare il Valentino e per avvertire Fieramosca del pericolo di Ginevra, trovandosi ora in mezzo a tutta questa confusione, rimaneva perplesso, conoscendo con quanta difficoltà gli sarebbe venuto fatto di trovar le persone che cercava. Stupirà forse il lettore, che un assassino condannato nel capo ardisse venire in città ed esporsi ad esser preso; e certo nel modo onde è composta in oggi la società sarebbe grave imprudenza. Ma gli uomini di quel tempo non avevano come noi leggi ed uffiziali di polizia tutti intesi a vegliare alla loro tranquillità, e Pietraccio, ora che la stretta nella quale s'era messo ammazzando il podestà era passata, poteva star sicuro in Barletta (tanto più essendo notte) come sarebbe stato in mezzo alle macchie fra' suoi.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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