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      Ettore esclamava:
      - Io son vituperato per sempre! La sfida, Zoraide, la sfida! (Si batteva col pugno la fronte); mancano pochi giorni, e mi sento ridotto di qualità, che non potrei tornar gagliardo neppure in un mese. Oh Dio! per che gran peccato mi tocca questa sciagura?
      La giovane a queste parole non sapeva che rispondere, ma probabilmente più che alla battaglia pensava al presente pericolo di colui che tanto le stava nel cuore; pericolo che la sua esperienza le mostrava ogni tratto divenir più grave. A quel momento d'orgasmo avea con un subito passaggio tenuto dietro una specie di letargo: era caduto supino, la testa rovesciata sul guanciale, più pallido che mai; il batter delle vene del collo si mostrava convulso, e, guardando Zoraide la ferita, trovò il rosso attorno cresciuto quasi d'un dito.
      Ed Ettore pur seguitava a dolersi, e diceva: - Ecco il campione dell'onore italiano! ecco il glorioso fine della battaglia, delle braverie e dei vanti che n'abbiamo menati! eppure in faccia a Dio, dov'è il mio delitto? potevo fare altrimenti che non ho fatto?
      Ma queste ragioni eran ben lungi dal recargli sollievo, e pensava;
      - E a chi racconterò questa storia? a chi dirò le mie ragioni? ed anche dicendole, non parrà vero ai nemici poter fingere di non crederle, e dire: Ettore immaginò queste ciance perchè avea paura di noi.
      Mentre con queste immaginazioni s'agitava la mente, il veleno pur troppo innestatogli dal pugnale di D. Michele faceva progressi serpendogli per le vene che si diramano sulla superficie del cranio, e a gradi a gradi si sentiva intorbidare la vista ed il lume dell'intelletto, con uno stiramento alle tempie pel quale gli pareva veder tutti gli oggetti prima traballare, poi dar volte sempre più rapide, sparse di punti lucidi che l'abbagliavano.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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