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      Zoraide gli stava ritta accanto guardandolo tutta sgomentata e tremante, ed Ettore le teneva in viso gli occhi aperti e fissi. E con quella vacillazione di sensi, al debol chiarore del lumicino che andava morendo, vedeva progressivamente scomporsi le fattezze della giovane e i suoi lineamenti mutarsi in quelli di La Motta: questa larva stirando gli angoli della bocca formava un riso amaro e spaventevole; andava ingrossando e dilatando le labbra, e n'usciva la forma di Grajano d'Asti, che da piccolo a poco a poco cresceva, e spalancate anch'esso le fauci in egual modo, produceva la pallida sembianza del Valentino: così queste forme nascendo l'une dall'altre presentarono come una fantasmagoria di quei personaggi che dovevano a quell'ora star più spiccatamente dipinti nella mente dell'infermo. Fra l'altre venne anche l'immagine di Ginevra, alla quale, chiamandola a nome con parole caldissime d'amore, diceva: Lasciarmi morir così! io che t'amai tanto! levami di questo pozzo... toglimi queste tarantole che mi strisciano sul viso... ed altre tali parole. Al fine delle quali, tutte le figure che credeva scorgere, si vennero confondendo insieme, formarono dapprima una tinta unita, rossa e tremola come un lampeggiar prolungato, che poi oscurandosi e perdendosi gradatamente si estinse del tutto, quando le facoltà morali e corporee del giovane furono interamente sospese.
     
     
     
      CAPITOLO XVI.
      Per condurre di pari il racconto de' molti accidenti che accaddero separatamente in quella sera ai varii attori di questa storia, ci è convenuto lasciar il lettore sospeso sul conto di ciascuno; e quantunque sia questo il costume di molti narratori, non crediamo che riesca gradito quando il libro che si ha fra le mani è da tanto d'inspirar il desiderio di conoscere il fine.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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