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      Non ci scuseremo presso il lettore d'aver seguito un tal metodo, che del resto era indispensabile nel caso nostro: questa scusa sarebbe un atto di vanità che potrebbe far ridere alle nostre spalle; e la modestia, che in alcuni è una virtù, in molti è un tornaconto.
      Comunque stia la cosa, dobbiamo abbandonar per poco anche Fieramosca; tornar alla rôcca, e trovar il Valenza che vi lasciammo nelle camerette basse guardanti la marina.
      Il primo de' due fini pei quali s'era condotto all'esercito Spagnuolo, malgrado la sua astuzia, gli era andato fallito; nè avea potuto infondere a Consalvo bastante fiducia per indurlo a far lega con esso lui, od almeno a spalleggiarlo. Lo Spagnuolo, serbandogli fede quanto al tenerlo celato, avea declinate le sue domande, accogliendolo poi del resto con quell'onore che, se non si doveva alle sue qualità, si credeva dovuto al suo grado. Nei sette o otto giorni che scorsero fra l'attaccarsi e lo sciogliersi di questa pratica, stette così quasi sempre chiuso nelle sue camere per non dar indizio di sè; e se qualche rara volta uscì a prender aria, fu di notte e colla maschera al viso, come in quel secolo s'usava fra gli uomini d'alto stato, e spesso per ajutare col segreto le poco lodevoli operazioni. Ma, come dicemmo, alle mire politiche s'univano macchinazioni contro quella che era stata ardita abbastanza per mostrargli sprezzo; e queste macchinazioni, mediante la destrezza di D. Michele, e secondo le sue promesse, dovevano in quella sera avere il loro effetto.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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