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      Il duca n'avea ancor pieni gli orecchi, e già era cogli occhi aperti, seduto sul letto, e svegliato del tutto.
      Rimase un momento sbigottito, ma questo sogno rese però in lui più ferma la scellerata opinione che poteva commetter qualunque delitto senza timor del castigo in un'altra vita.
      Mentre si rinfrancava con questo pensiero (eran sonate le tre ore da pochi minuti), il ronzìo del parlare di tante persone, i suoni, le grida d'allegrezza che scendevano dal piano superiore della rôcca giugnevan deboli per la grossezza delle volte in quel piano terreno, allorchè quello stesso grido, che avea interrotto il colloquio di D. Elvira e Fanfulla, fu udito dal duca molto più vicino, e quasi venisse di dietro all'uscio suo, il quale metteva s'un poco di rena secca che si trovava tra il mare e i fondamenti del castello. Uscì a vedere chi l'aveva mandato, e non vide che un battello vuoto la cui prora solcando la sabbia s'era fermata a riva: guardò su alla loggia ed alle finestre, e non vide alcuno: stava per rientrare nella sua camera, pure fece alcuni passi avvicinandosi al battello, ed allungando il collo sopra gli orli vi trovò nel fondo distesa una donna che col capo all'ingiù fra le due mani tratto tratto si lamentava. Dopo un primo movimento di sorpresa, subito si risolse; ed entrato nel battello, postole un braccio sotto le ascelle, e coll'altro alzandola alle ginocchia, la levò di peso, e tramortita come era, la portò dentro e la depose sul letto. Ma qual fu la sua maraviglia quando, accostatole il lume per vederla in viso, conobbe Ginevra!


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





Elvira Fanfulla Ginevra