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      Gli era troppo rimasto impresso quel volto per poter negar fede ai suoi occhi; ma come indovinare per quale strano accidente gli venisse ora in mano così sola, ed a quel che pareva avendo ingannate le insidie di D. Michele?
      Di qui innanzi, diceva fra se stesso, voglio credere almeno vi sia il diavolo. Altri che un diavolo amico non potea servirmi tanto a piacer mio. E posato il lume s'una piccola tavola accanto al capezzale, seduto sulla sponda del letto, studiava i moti del viso di Ginevra per cogliere il momento in cui si fosse risentita; il piacere di potersi goder finalmente una vendetta lunga, dolorosa, gli accendeva gli occhi d'una fiamma scorrente a guisa di scintilla elettrica fra ciglio e ciglio, e le macchie che gli deturpavan il volto, parea ribollissero tingendosi di un colore quasi sanguigno. Certo la faccia d'un uomo, mettendo insieme la deformità fisica con quella che induce nei lineamenti l'espressione del delitto, non s'era mostrata mai sotto un aspetto più orrendo. Da un lato Ginevra pallida, immobile, col dolore scolpito in viso, con una mossa tutta abbandonata e languente; dall'altro il Valentino, quale l'abbiamo descritto, formavano un quadro troppo doloroso. Stettero ambedue in questa situazione immobili lungo tempo; potè dirsi felice Ginevra finchè i suoi sensi smarriti, le palpebre abbassate le tolsero la conoscenza del luogo ove si trovava, e la vista di quello che oramai era assoluto padrone di lei; ma durò poco questo fortuna, e da qualche moto leggiero s'avvide Cesare Borgia che la sua vittima stava per aprir gli occhi.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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