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      Ma ad un patto, Ginevra, che facci senno: e ti so dire che n'hai mestieri.
      Queste meno aspre parole non potettero non ridestare nel petto della donna una favilla di speranza, e colle mani giunte, procurando di non mostrare nel guardarlo il ribrezzo che ne sentiva, si pose a pregarlo come si prega la Croce, che non volesse opprimere una femminella già troppo misera ed infelice.
      - Io vi prego, signore, per le piaghe di Gesù, per quel giorno in cui ancora voi, benchè tanto potente in terra, vi troverete anima ignuda al cospetto del Giudice eterno... Se aveste mai donna che vi fosse cara, dite, se si trovasse in mano altrui, e domandasse invano misericordia, se vostra madre, se vostra sorella fosser poste al passo in che mi trovo io, e pregassero, e pregassero invano, gridereste vendetta al Cielo, non è egli vero, contra chi avesse loro fatto oltraggio?
      Queste parole, che univano l'idea della virtù e dell'onestà coi nomi della Vannozza e di Lucrezia Borgia, mossero alquanto a riso il Valentino, che ne sapea qualche cosa. Ma fu un riso sinistro, che a Ginevra accrebbe la paura; pure seguitò la sua preghiera mutandosele a poco a poco pel pianto la voce mentre parlava, onde poi a stento fra la piena de' singhiozzi furon udite l'ultime parole: - Io sono una meschina femminuccia: qual bene, qual gloria può trovare un potente signore qual siete voi a vendicarsi di me?... Chi sa che non venga un momento in cui la memoria d'avermi usata mercede non vi sia balsamo al cuore? - Voler dir l'ansia, l'angoscia, la disperazione dell'infelicissima Ginevra nel vedersi a questo terribil passo, voler descrivere le sue lagrime, le preghiere, ed in ultimo le furibonde grida, e le dementi imprecazioni, sarebbe impossibile, ed offriremmo ai nostri lettori un quadro troppo straziante.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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