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      S'accorse Vittoria che questo stato, quanto meno pareva violento, tanto più metteva sospetto; conobbe che non era tempo da perdere, perciò, licenziati gli uomini, fece venire alcune sue donne che arrecarono spiriti e cordiali, e con questi riuscirono in breve tempo a ridestar in Ginevra la vita che pareva presso ad estinguersi.
      Il primo segno che diede d'aver ripreso l'uso delle sue facoltà, fu guardarsi un momento attorno spaventata, e poi gettarsi con impeto dal letto per tentar di fuggire; ma la sua debolezza era tanta, che sarebbe caduta in terra, se le braccia di Vittoria non l'avessero raccolta, e con misurata violenza riposta sul letto.
      - Oh! Dio! - disse allora Ginevra. - Siete anche voi d'accordo? Mi sembrate pure gentil donna; siete giovane e bella, e neppur voi avrete pietà di me?
      - Anzi, - rispose Vittoria, prendendole le mani, e ponendovi su le labbra: - noi e quanti sono in questa rôcca siam qui in vostro servigio, e per ajutarvi e difendervi; e quietatevi per amor del Cielo, che non dovete più temer di nessuno.
      - Ebbene dunque, se è così, - disse Ginevra buttando di nuovo i piedi giù dal letto, - lasciatemi, lasciatemi andare.
      Vittoria credendo che questa voglia di fuggire nascesse da vacillazione di mente, vedendola poi così debole e tanto sfigurata, voleva persuaderla colle buone ad aver pazienza per qualche momento; ma l'aborrimento per quel luogo era divenuto per colei una smania che gli ostacoli vieppiù accendevano: onde seguitava a far forza, e diceva piangendo:


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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