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      - Venga, venga, - disse Ginevra.
      Comparve sulla porta un frate d'alta statura, la cui sembianza pallida e modesta era mezzo adombrata sotto il cappuccio; s'appressò al letto dicendo. Cristo vi guardi, signora. Usciron gli altri e rimase solo con lei.
      La presenza di questo religioso, i suoi modi pieni di quella carità ardente che nasce dal conoscere quanto sia divina ed augusta la missione di sollevar l'uomo nelle sue miserie, indicavano a prima vista che da gran tempo tutti gli affetti, tutti i fini mondani gli stavano sotto i piedi.
      La sua storia era una specie di mistero per gli abitanti di Barletta, e per gli stessi religiosi del convento di San Domenico, nel quale senza occupar nessuna carica dell'Ordine, viveva circondato da una sorta di riverenza, che nasceva dall'esempio delle sue virtù, dal suo sapere, e dalla persuasione ch'egli era vittima d'una persecuzione religiosa. Si bisbigliava che fosse stato al secolo uno de' primi cittadini di Firenze, della setta così detta de' Piagnoni, della quale era capo fra Girolamo Savonarola; che, vinto dalle parole di quel terribile predicatore, avesse abbandonato il mondo e preso dalle sue mani l'abito domenicano in San Marco. A questi fatti, che ognun teneva per veri, si frammischiavan voci più incerte: che egli avesse, per darsi a Dio, rotti legami di cuore... si diceva che quel repentino cambiamento fosse stato cagione di gravi scandali, di sdegni, di vendette per parte della donna abbandonata, per la cui opera, avvolto nella persecuzione suscitata contra il frate dalla corte di Roma, dopo la morte del medesimo a stento si fosse sottratto per cura de' suoi superiori che l'avean fatto fuggire travestito, e mandato sott'altro nome nel convento di Barletta, ove, per essere luogo poco frequentato e fuor di mano, se ne vivea sconosciuto.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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