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      Vittoria intanto aveva attraversato le sale ove si attendeva a spegner i lumi e dar sesto al mobile; giunse alla camera ove già s'era ritirata D. Elvira che cominciava a levarsi d'attorno gli ornamenti e le gale. La trovò in quest'occupazione ajutata da due cameriere, la cui opera, al modo dispettoso col quale le trattava, pareva non le fosse troppo gradita: era accaldata, rossa in viso, ed all'aspetto tutt'altro che soddisfatta della sua serata. Quando vide entrar Vittoria, un intimo senso prodotto forse da un nascosto rimorso le fece nascer il pensiero che la sua amica avesse a parlare su un tuono che in quel momento le pareva duro di sopportare. Quest'idea fu cagione che l'accogliesse con un atto di sorpresa che non celava interamente l'impazienza. Vittoria se ne avvide, ma senza darne segno, le disse con tutta dolcezza, che la pregava ritardasse in suo servigio di andar a letto per un quarto d'ora, e venisse a quello di Ginevra che la domandava. Dovette per conseguenza spiegarle come si trovasse quivi costei; e la figlia di Consalvo, che, come tutti i capi sventati in genere, aveva in fondo buon cuore, fu contenta d'andarvi, tanto più che vide la cosa prender miglior piega che non s'aspettava.
      Vennero dunque insieme alla camera di Ginevra, ed entrate s'avvicinarono al letto. La bellezza di D. Elvira non avea tanto spiccato allorchè il suo vestire e la pettinatura era foggiata col maggiore studio, quanto ora appariva in quel disordine che lasciava ondeggiar liberi sul collo e sulle spalle i suoi lunghissimi capelli d'oro; Fra Mariano abbassò gli occhi, e la povera Ginevra nel mirarla sentì un fremito interno, e diede un sospiro, al quale il buon frate non potè negar compassione.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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