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      - Tanto meglio, - rispose Brancaleone, - avremo a far con uomini; e non siam della bandiera Colonna per niente. Per me domani spero di far per due: pensa che cosa direbbero que' ribaldi degli Orsini se sentissero che ne abbiam toccate! Vorrebbe rider poco quel poltroncione del conte di Pitigliano... ma per questa volta spero non l'avrà il gusto.
      - Oh! no, - rispose Fieramosca: - e può essere che a qualcuno di questi Francesi gli dolga d'aver voluto assaggiar i fichi di Puglia. Oh! in somma, ora pensiamo a riposar queste poche ore, e domani a mostrare che se i poveri Italiani sono sempre assassinati, è perchè il maledetto destino vuol così; ma che del resto, uomo per uomo, non temiamo nè loro nè il mondo. Addio, Brancaleone; so che vuol dire, - seguiva sorridendo, - non aver paura, fin a domani a sera non penso che a quel che s'ha da fare, e ti giuro che mi bolle il sangue ora più che il giorno in cui fu data la disfida; e spero di non far vergogna nè all'Italia nè a voi.
      - Di questo son più che certo, - rispose Brancaleone. - A domani.
      - A domani, - replicò Fieramosca stringendogli la mano; e si lasciarono.
      Prima di salire in camera volle Fieramosca dar un'occhiata alla stalla; ed entratovi, si pose ad accarezzare il suo buon cavallo di battaglia, con quell'affetto, e quasi potrei dire amicizia che prova ogni soldato per il compagno delle sue fatiche e de' suoi pericoli. Gli passava la mano sul collo e sulle spalle battendolo leggermente, ed il cavallo, abbassate indietro le orecchie, scoteva il capo, e scherzando faceva l'atto di mordere il suo padrone.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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