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      E se, per ingannar sè medesimo, durava questa fatica, lo faceva conoscendo che a voler volger tutti i pensieri e tutte le virtù dell'anima alla battaglia, gli era indispensabile il rendersi, se non certo, almeno molto probabile, ciò che il raziocinio gli mostrava esser pura illusione.
      - Oh sì, sì, - diceva scotendo il capo, e passandosi la mano sulla fronte e sui capelli, come per dissipare i pensieri che v'erano aggruppati, - badiamo a farci onore prima di tutto... e forse domani a quest'ora avrò già potuto dirle: Ginevra, abbiam vinto... - poi fermatosi un momento a pensare: - oppure m'avrà già veduto entrar in Barletta sulla bara, ed avrà detto: Povero Ettore, hai fatto quel che hai potuto... E se ciò accadesse? sarei morto da uomo dabbene; ed essa piangerebbe la mia morte; ma non mi vorrebbe vivo a patto d'una viltà; anzi andrebbe superba di poter dire: Eravamo amici sin da fanciulli... Sì... ma intanto rimarrà qui sola, senz'un ajuto; neppur sa che suo marito è al campo francese; e se anche lo sapesse, come presentarsi a lui dopo tanto tempo?
      Ettore aveva formato e parte eseguito il disegno di raccomandarla a Brancaleone; ma riflettendo che anch'esso poteva venir ucciso con lui si risolvette di scriver una lettera a Prospero Colonna, nella quale fosse ordinato che il poco suo avere in Capua, cioè la sua casa, un podere, e gli arnesi ed i cavalli, che pure eran del valore di molte migliaia di ducati, tutto fosse di Maria Ginevra Rossi di Monreale. Riaccese il lume, ed in poco tempo ebbe scritta la lettera: allora pensò d'acchiudervene un'altra per Ginevra come di commiato, e per raccomandarle la giovane saracina, alla quale aveva pur tanti motivi d'essere riconoscente: e come già cantavano i galli, e s'accorgeva che gli uomini sotto nella stalla cominciavano à risentirsi, a far romore, mancandogli il tempo, scrisse soltanto queste poche righe:


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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