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      Egli, con due grembiuli e la beretta di bucato, colle maniche della camicia rimboccate sino alla spalla, teneva sotto il braccio la pentola da infarinare, in una mano il piatto col fritto ancor crudo, nell'altra le mollette per prenderlo, e si affaccendava a preparar questo cibo tanto gradito agli Italiani meridionali, senza restar mai un momento dal cicalare, ridere, domandare e rispondere a tutti in una volta, e soltanto interrompeva a quando a quando questi dialoghi, o per cantar La bella Franceschina, o per gridar quanto n'avea nella canna: Ah che alici! ah che alici! son vive le trigliarelle! o non avete occhi, o non avete danari!, ed altre simili inculcazioni che s'udivano da mezzo miglio lontano.
      Alla fine, un mormorar più forte della folla che occupava i luoghi superiori fece volgere a tutti il viso verso quella parte, e passando di bocca in bocca giunse la nuova, che già si scorgeva il drappello francese. Pochi minuti dopo compariva alla voltata d'una strada, che usciva di dietro una collina, ed avanzandosi, venne a porsi in battaglia nella parte superiore del campo, volgendo la fronte al mare. Scavalcati i guerrieri ed un centinajo e mezzo di compagni ed amici che eran con loro, lasciaron ai famigli i cavalli, e, saliti al luogo dei giudici, si dispersero sotto i lecci aspettando l'arrivo degli Italiani. Sulla strada di Barletta un nuvolo di polvere, fra il quale si potè presto distinguere il lampeggiar dell'armi, mostrò che non eran per farsi troppo aspettare. Le turbe sin allora disperse si strinsero ai confini della lizza, studiando ognuno di cacciarsi avanti, malgrado che i fanti di guardia, con que' modi amorevoli che in ogni tempo ha sempre usato la soldatesca in simili occasioni, battendo sul suolo, e talvolta sulle punte dei piedi i calci delle ronche e delle picche, ricacciassero indietro l'onda che tentava di sopraffarli.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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