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      I cavalli avean le parti anteriori e laterali del capo difese da un guernimento di ferro, nel quale eran soltanto due buchi per gli occhi; in mezzo alla fronte una punta; il collo, le spalle ed il petto ugualmente coperto da piastre soprapposte a guisa di scaglie, e snodate, onde lasciar liberi tutti i moti; ed un arnese dello stesso artificio si stendeva sulla groppa e le parti laterali del ventre, lasciandone scoperto soltanto il luogo per le spronate. Le belle fattezze di questi nobili animali eran cosė deturpate da tutte quell'armature, che parevano dalle gambe in fuori quasi altrettanti rinoceronti. Vedendoli fermi si sarebbe creduto impossibile che potessero muoversi non che correre; ma uno scuoter di briglia od un accostar del calcagno del cavaliere li trovava agili e pronti come fosser nudi, tanto maestrevolmente eran congegnate quell'armi.
      Oltre lancia, spada e pugnale che ogni uomo d'arme portava sulla persona, avea appese all'arcione davanti una mazza d'acciajo, ed un'azza: e gl'Italiani avean gran nome nel maneggio di quest'armi. Il modo poi d'ornarsi era vario, secondo il capriccio d'ognuno: sulla cima degli elmi svolazzavan penne di molti colori disposte per lo pių intorno ad un lungo pennacchio formato della coda del pavone. Alcuni invece di penne aveano strisce di stoffa frastagliata, dette dai Francesi lambrequins. Chi portava sopravveste, chi tracolle, chi avendo un'armatura ricca e ben lavorata, la lasciava scoperta: anche i cavalli avevan sul capo o penne o qualche altro ornamento, e le briglie larghe quasi un palmo a festoni, e di colori che chiamavan l'occhio; spesso per la fattura e per la ricchezza degli ornati erano esse sole di gran valore.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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