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      Il frastuono rimbombò per le valli dei dintorni; Diego Garcia si percosse col pugno sulla coscia per la maraviglia e per la smania di non esser anch'esso là in mezzo; e questo fu il solo atto che si notasse fra gli spettatori attoniti ed immoti.
      Rimase per alcuni secondi riunito quel gruppo di battaglia, ed un certo luccicar più sottile che qua e là balenava a traverso la polvere, mostrò che i cavalieri avevan posto mano alle spade: s'udiva uno scrosciar di ferri, un martellar così a minuto, come se in quello spazio fossero state in opera dieci paja d'incudini. Tutto quell'ammasso pieno d'una luce vivissima, e direi guizzante in se stessa, era simile ad una macchina di fuoco d'artifizio, quando è velata in parte dal fumo: tanto era complicato e rapido il muoversi, lo stringersi, l'aprirsi, il ravvolgersi che faceva in tutte le sue parti.
      L'ansietà di poter veder qualche cosa e sapere a chi toccasse il primo onore, era tale che ormai si stava per prorompere in grida; e già s'udiva un crescente bisbiglio, che fu però soffocato dai cenni degli araldi, non meno che dal vedere uscir fuori da quel viluppo un cavallo sciolto, talmente coperto di polvere, che neppur più si capiva di che colore avesse la sella: scorrendo pel campo di mezzo galoppo si trascinava fra le zampe la briglia mezza lacerata, e, mettendovi su or un piede, or un altro, si veniva dando strappate al freno che gli facevan abbassar il capo, e lo mettevano a rischio di cadere; una larga ferita dietro la spalla versava una fontana di sangue nero e segnava la traccia; dopo non molti passi cadde sulle ginocchia sfinito, e si arrovesciò sul terreno.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





Diego Garcia