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      Quando si stese in terra, Fieramosca che avea colto il tempo e s'era buttato da cavallo, gli si trovò sopra colla daga sguainata, ed appuntandogliela alla vista in modo che un poco gli toccava la fronte, gli gridò: - Renditi o sei morto. - Il barone, ancor mezzo fuor di sè, non rispondeva; e questo silenzio potea costargli la vita: gliela salvò Bajardo, gridandolo prigione.
      Condotto via La Motta da' suoi famigli che lo consegnarono al signor Prospero, Fieramosca si voltò per risalire a cavallo: il cavallo era scomparso: girò lo sguardo per la battaglia e vide che Giraut de Forses, essendogli stato morto il suo, aveva tolto il destriere dell'Italiano e stava fra' suoi facendo ancor testa agli uomini d'arme nemici. Il buon Ettore conobbe che solo e a piedi non avrebbe potuto riaver il cavallo. L'aveva nutrito ed allevato di sua mano, ed addestrato a seguirlo alla voce; onde non si confuse: fattosegli più presso che potè, cominciò a chiamarlo, battendo il piede come era usato di fare quando voleva dargli la biada. Il cavallo si mosse per venire a quel cenno, e volendo il cavaliere contrastargli, prima cominciò ad impennarsi, poi si mise a salti, e senza che colui potesse nè opporglisi nè governarlo, lo portò suo malgrado fra gli Italiani che, circondatolo, l'ebber prigione senza colpo di spada. Scendendo dal cavallo sul quale tosto saltò Fieramosca, malediceva la sua fortuna; ma questi, resagli per la punta la spada che gli era stata tolta, gli disse:
      - Fatti con Dio, fratello, piglia le tue armi e torna fra' tuoi, che i prigioni gli abbiamo per forza d'arme, e non per arti da ciurmadori.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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