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      Spaziò poscia in tutte e tre, vivendo e lavorando in Roma principalmente. Lasciolla una volta per ira (egli avea del Dante, e fu detto tale nell'arti) contra Giulio II, quell'altro iroso, quel Dante dei pontefici. E fuggito a Firenze, poco mancò che le due ire non guastassero il papa e la repubblica, non fossero uno di piú de' turbamenti d'Italia. Un'altra volta venuti i due alla ribelle Bologna, e vedendo il papa il modello della propria statua apparecchiatogli da Michelangelo, e che questi gli avea posto nella mano sinistra un libro: - Che libro? - disse, - ponmi una spada, ché io non so lettere. - Poscia guardando la destra: - Dá ella benedizione o maledizione? - E Michelangelo: - Minaccia questo popolo se non è savio. - Ma il popolo non fu savio ed atterrò poi la statua. Meglio un pontefice benedicente, e ribenedetto; dureran serbate da' popoli le statue sue. Una terza volta, sotto Clemente VII, ei lasciò Roma, come dicemmo, per servir la patria da ingegnere. I freschi da lui fatti in Vaticano serviron di studio all'ultima maniera di Raffaello. Fu geloso di questo, come vecchio di giovane da cui sia superato; e volendo rivaleggiare anche in pittura a olio, a che era poco pratico, s'aggiunse fra Sebastiano veneziano; e i due insieme fecero de' gran bei lavori, ma men belli che quelli fatti da Raffaello. Piú vecchio d'assai sopravvissegli di molto; signoreggiò, quasi tiranneggiò nell'arti a Roma per gran tempo; e morto Antonio da Sangallo [1546], ebbe la fabbrica di San Pietro, dove, ognun sa, pose il Panteon a cupola.


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Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni: sommario
di Cesare Balbo
pagine 750

   





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