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      Ma il fatto sta che Carlo Alberto, vivissimo all'indipendenza, era lentissimo alla libertá, né, io credo forse e potrei dire so, per odio o vil paura ad essa, ma per nobilissima paura che questa nocesse a quell'acquisto d'indipendenza che era insomma il primo, il grande, il supremo de' suoi pensieri. E certo, che questo spiega e le antiche e le intermediarie e le ultime azioni di lui, e le sue virtú e i suoi errori, le sue lentezze, le sue titubanze, le sue ostinazioni. Ad ogni modo, dal principio del 1846 al settembre del 1847, non s'era fatto un passo, non una riforma in Piemonte. Né una festa o un tumulto, che fu gran vantaggio a tener nuovi gli animi all'opere reali. Né a settembre stesso ed ottobre fu altro che una lettera confidenziale, ma confidenzialmente fatta pubblica, dove Carlo Alberto diceva che "se la provvidenza mandava la guerra d'indipendenza, co' suoi figli a cavallo se ne farebbe capo". Il mondo sa come essi adempissero la parola. Ma allora non fece grand'effetto. L'opinione era alle riforme, di che il re non faceva né diceva nulla. Sorsero, si rinnovarono frequenti tumulti, i piú pacifici e rispettosi siensi veduti mai. Finalmente, addí 29 ottobre, fu pubblicata una notificazione in che si promettevano tutte insieme le riforme che dovevano portare e portarono il Piemonte al paro dei due altri Stati riformati, Roma e Toscana; governo consultativo, cioè Consiglio di Stato, riordinato, corroborato di membri provinciali, nuove attribuzioni ad esso ed a' Consigli provinciali e comunali; larghezza alla stampa che in breve ne diventò qui pure liberissima, cercatrice di popolaritá licenziosa; e guardia civica (?). E allora pur qui i tumulti piccoli diventarono feste grandi, ma cosí ordinate, che fu una meraviglia ed un'eccezione.


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Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni: sommario
di Cesare Balbo
pagine 750

   





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