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      Né erano piú savi a Napoli. Appressandosi la convocazione del parlamento per il dí 15 maggio, non che riunirsi, come altrove, i partiti in quella speranza, in quell'effettuazione dello statuto, fosse opera delle sčtte piú potenti lá che altrove, o degli emissari repubblicani francesi, o diffidenza ed odio al re, o che che sia, il fatto sta che giá gridavasi non voler Camera dei pari eletta dal re, non lo statuto qual era, non giuramento a questo senza riserva. Disputossene, fra re, ministri, deputati, pari, guardia nazionale e popolo, ne' giorni precedenti a quello della convocazione. Nella sera de' 14 incominciarono barricate all'incontro del palazzo regio e delle truppe che stavanvi a guardia. A mezza mattina dei 15, eran cresciute le barricate e guardie. Popolo di qua, truppe in battaglia di lá, non potevano restare oziose gran tempo. Parte un colpo: s'appiglia la zuffa, la battaglia, il macello, il saccheggio, ogni nefanditá di guerra cittadina. Le truppe rimangono vittoriose; il re muta ministero; Cariati presidente del nuovo; si sciolgon le Camere senza essersi legalmente aperte; i deputati perseveranti in lor aula, son cacciati da' soldati; un proclama ripromette lo statuto; i repubblicani fuggono a Calabria, e vi levano guerra civile. Il re richiama l'esercito da Bologna, dismettendo Pepe. Questi con pochi disobbedisce, e vanno a Venezia. Statella sottentratogli, riconduce il resto in disordine. E cosí i pontifici di Durando abbandonati da un esercito intiero su cui contavano, furono perduti; cosí l'esercito piemontese perdette tra questi e quelli i trentamila uomini che formavano tutta la sua destra: cosí la guerra d'indipendenza, infiacchita giá il 29 aprile dalla allocuzione del papa, fu perduta intieramente il 15 maggio, mentre i piemontesi pur combattevano, morivano e vincevano per lei a Pastrengo ed a Goito.


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Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni: sommario
di Cesare Balbo
pagine 750

   





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