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      E chiamandomi così, allora cessò la forte fantasia entro quel punto, che io volea dire: O Beatrice, benedetta sie tu. E già detto avea: o Beatrice, quando riscotendomi apersi gli occhi, e vidi che io era ingannato; e con tutto che io chiamassi questo nome, la mia voce era sì rotta dal singulto del piangere, che queste donne non mi potero intendere. Ed avvegnachè io vergognassi molto, per alcuno ammonimento d'amore, mi rivolsi loro. E quando mi videro, cominciaro a dire: questi par morto: e talora mi domandavano di che io avessi avuto paura? Ond'io essendo alquanto riconfortato, e conosciuto il falso imaginare, risposi a loro: Io vi dirò quello che io ho avuto. Allora dal principio fino alla fine dissi loro ciò che veduto avea, tacendo il nome di questa gentilissima.156» E qui io non so se parrà altrui, come a me; ma non posso finire questa narrazione così naturale e piena di verità, senza qualche sdegno contra quei commentatori eruditissimi in altre cose, ma che certo non lessero o non intesero queste, posciachè poterono sostenere, essere stata questa Beatrice immaginaria.
      E segue (nuova pruova della verità di tutto ciò) nella storia degli amori di Dante una canzone fatta in questa occasione; la quale tanto si riferisce ai fatti narrati, che non potè nemmeno allora aver senso, se non per le donne ed i congiunti testimoni o partecipi di quei fatti reali. Segue un grazioso e più lieto sonetto fatto in altra occasione, che egli vide la sua donna con una compagna chiamata Vanna, e per soprannome di bellezza Primavera, che era l'amata del suo primo amico Guido Cavalcanti:


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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