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      Imperciocchè tale è la legge del Purgatorio stabilita da Dante, che ne trae i versi seguenti pieni d'affetto e dolcezza agli amati da lui, e pieni poi, subito dopo, di non meno bella ira ed amarezza contro ai mali costumi contemporanei. È contrasto solito nel nostro Poeta, grande del paro nelle due facoltà opposte di sentire.
      . . . . . . . . . . . . Forese, da quel dì
      Nel qual mutasti mondo a miglior vita,
      Cinqu'anni non son volti infino a qui.
      Se prima fu la possa in te finitaDi peccar più, che sorvenisse l'ora
      Del buon dolor ch'a Dio ne rimarita;
      Come se' tu quassù venuto? AncoraIo ti credea trovar laggiù di sotto,
      Dove tempo per tempo si ristora.
      Ed egli a me: sì tosto m'ha condottoA ber lo dolce assenzio de' martiri
      La Nella mia col suo pianger dirotto.
      Con suoi prieghi devoti e con sospiriTratto m'ha della costa ove s'aspetta,
      E liberato m'ha degli altri giri.
      Tant'è a Dio più cara e più dilettaLa vedovella mia, che molto amai,
      Quanto in bene operare è più soletta;
      Chè la Barbagia di Sardigna196 assaiNelle femmine sue è più pudica,
      Che la Barbagia dov'io la lasciai.
      O dolce frate, che vuoi tu ch'io dica?
      Tempo futuro m'è già nel cospetto,
      Cui non sarà quest'ora molto antica,
      Nel qual sarà in pergamo interdetto197
      Alle sfacciate donne Fiorentine
      L'andar mostrando colle poppe il petto.
      Quai Barbare fui mai, quai Saracine,
      Cui bisognasse, per farle ir coverte,
      O spiritali o altre discipline?
      Ma se le svergognate fosser certeDi ciò che 'l Ciel veloce loro ammanna,198
      Già per urlare avrian le bocche aperte.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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