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      Che non gustata non s'intende mai,
      Grazioso mi fa se mi contentiDel nome tuo, e della vostra sorte.
      Ond'ella pronta e con occhi ridenti:
      La nostra carità non serra porteA giusta voglia, se non come quella203
      Che vuol simile a sè tutta sua corte.
      Io fui nel mondo vergine sorella;
      E se la mente tua ben si riguarda,
      Non mi ti celerà l'esser più bella,
      Ma riconoscerai ch'io son Piccarda,
      Che, posta qui con questi altri beati,
      Beata son nella spera più tarda.
      Li nostri affetti, che solo infiammatiSon nel piacer dello Spirito Santo,
      Letizian dal suo ordine formati;
      E questa sorte, che par giù cotanto,
      Però n'è data, perchè fur neglettiLi nostri voti, e voti in alcun canto.
      Ond'io a lei: ne' mirabili aspettiVostri risplende non so che divino,
      Che vi trasmuta da' primi concetti.
      Però non fui a rimembrar festino;
      Ma or m'aiuta ciò che tu mi dici,
      Sì che 'l raffigurar m'è più latino.
      Ma dimmi: voi, che siete qui felici,
      Desiderate voi più alto loco,
      Per più vedere, o per più farvi amici?
      Con quell'altr'ombre pria sorrise un poco;
      Da indi mi rispose tanto lieta,
      Ch'arder parea d'amor nel primo foco:
      Frate, la nostra volontà quïetaVirtù di carità, che fa volerne
      Sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta.
      Se desiassimo esser più superne,
      Foran discordi gli nostri desiriDal voler di Colui che qui ne cerne;
      Che vedrai non capere in questi giri,
      S'essere in caritate è qui necesse,
      E se la sua natura ben rimiri;
      Anzi è formale ad esto beato esseTenersi dentro alla divina voglia,
      Per ch'una fansi nostre voglie stesse.
      Sì che, come noi siam di soglia in soglia


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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