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      »258 E fu pur accennata da Dante nel Poema questa superstizione fiorentina, che attribuiva tutti i malanni della città a quella statua recisa, ed all'ira del demonio Marte, spogliato già della sua protezione della città da San Giovanni Battista. Nell'Inferno un peccatore dimandato chi egli sia, risponde tacendo il proprio nome:
      Io fui della Città che nel Battista
      Cangiò 'l primo padrone, ond'ei per questoSempre con l'arte sua la farà trista.
      E se non fosse che 'n sul passo d'Arno
      Rimane ancor di lui alcuna vista,
      Quei cittadin che poi la rifondarnoSovra 'l cenere che d'Attila rimase,
      Avrebber fatto lavorare indarno.
      Inf. XIII. 143-150.
      Ed anche in altri luoghi accenna la medesima opposizione e lotta tra i due protettori, il celestiale e l'infernale.259
      Poco prima o poco dopo questi due fatti, un altro ne avvenne,260 il quale già toccava più presso a Dante. Dicemmo la inimicizia di messer Corso Donati e Guido Cavalcanti, il quale naturalmente co' giovani che avean promesso d'essergli in aiuto (con essi probabilmente Dante), era ora della parte Selvaggia o Bianca o de' Cerchi. Ed «essendo un dì a cavallo con alcuni da casa i Cerchi, con uno dardo in mano spronò il cavallo contro a messer Corso, credendosi esser seguito da' Cerchi per farli trascorrere nella briga; e trascorrendo il cavallo, lanciò il dardo, il quale andò in vano. Era quivi con messer Corso, Simone suo figliuolo, forte e ardito giovane, e Cecchino de' Bardi, e molti altri con le spade, e còrsongli dietro; ma non lo giugnendo, li gettarono de' sassi, e dalle finestre gliene furono gittati, per modo che fu ferito nella mano.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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