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      Continuavano i Bianchi, i Cerchi ad essere in tutto buona gente, molto più che i Neri e i Donati, ma molto meno destri e meno forti; e correa principalmente gran differenza tra l'Asino di Porta e il Barone Malefammi. E così è che Dante pur dannando le due Parti, seguì quella men cattiva, secondo il precetto antico, che vuol ch'una pur si segua dagli uomini attivi; e la seguì quantunque egli certo la conoscesse più sciocca e fiacca: che dee dirsi gran virtù in uomo così diverso. Nè tutto ciò è congettura nostra. Solenni sono le parole del Boccaccio; le quali, quantunque generali e forse anche declamatorie, mi paiono vere assai più che non quelle erroneamente precise di Leonardo Aretino, disprezzator del Boccaccio. Il quale, dunque, dopo quelle parole già recate sull'entrato di Dante ne' pubblici uffici, continua così: «In lui tutta la pubblica fede, in lui tutta la speranza, in lui sommariamente le cose divine e le umane pareano esser fermate. Ma la fortuna, nimica dei nostri consigli e volgitrice d'ogni umano stato, comechè per alquanti anni nel colmo della sua rota gloriosamente reggendo il tenesse, assai diverso fine al principio recò a lui, in lei fidandosi di soperchio. Era al tempo di costui la fiorentina cittadinanza in due parti perversissimamente divisa, e colle operazioni de' sagacissimi ed avveduti principi di quelle, era ciascuna possente assai; intanto che alcuna volta l'una e alcuna volta l'altra reggeva, oltre al piacere della sottoposta. A voler riducere in unità il partito corpo della sua Repubblica pose Dante ogni suo ingegno, ogni arte, ogni studio; mostrando a' cittadini più savi, come le gran cose per la discordia in brieve tempo tornano al niente, e le picciole per la concordia crescono in infinito.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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