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      Certo, io prescelgo credere al Poema. Del resto, non si vuol apporre a Dante una determinata intenzione d'ingannare. Egli dice fin da principio, «che non intende in alcuna parte derogare alla Vita Nova;442 non dice che il senso allegorico sia unico, ed anzi incomincia ad esporre il litterale; ed in somma, non fa se non ciò che fecero altri prima di lui e dopo, e fra gli altri il Tasso, sovrapponendo allegorie ad opere compiute. Ma nota bene, che a Beatrice e all'amor suo egli non sovrappone qui allegoria niuna: ei lo fa sì nella Commedia, ma ne vedremo a suo luogo la ragione.
      Convito chiama Dante quest'opera sua con mal cercato titolo, che non esprime nulla; a differenza degli altri titoli suoi, il cui senso è oscuro, forse, a prima vista, ma che, penetrato, è proprio profondo e compiuto. Dice, che il Convito suo è imbandimento di scienza da lui fatto ai leggitori; nè allude di niuna maniera al titolo simile del famoso dialogo di Platone. Il quale essendo pure sull'amore, alcuni credettero che questa di Dante fosse un'imitazione. Io non so se allora fosse alcuna traduzione latina di Platone; ed è probabile che il titolo solo, tutt'al più, fosse noto a Dante. Forse egli, sapendo confusamente che Platone aveva scritto quel Dialogo dell'amore, e che l'innalzava a spiritualità, volle dare il medesimo titolo al suo trattato del medesimo assunto. Ad ogni modo il titolo solo, se mai, fu da lui imitato. Chè quanto il trattato di Dante è inferiore per rispetto d'arte, tanto senza dubbio è superiore per modestia d'esposizione al dialogo greco: vergogna se non dello scrittore, almeno dell'età e della civiltà in che fu scritto.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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