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      Ma certi animi sono così stretti, che non cape in essi mai un po' d'amore senza cacciarne ogni altro, senza cercare compenso di qualche odio. Vituperano costoro ogni lingua, ogni letteratura straniera, ogni dialetto provinciale, quasi il leggerne o solo l'udirne una parola avesse a nuocere al loro bello scrivere in quella lingua che poi non scrivono; vanno in cerca colle lenti di certi vanti microscopici di quell'Italia che n'ha di così immensi e patenti; e profferiscono come amatori d'Italia sè soli, che la lodano in ogni cosa, l'adulano ne' vizi, l'assonnano nel vecchio ozio, e la accarezzano, se ci sia lecito dir con Dante, men da donna che da meretrice. Non così Dante; il quale, largo e virile in tutti i suoi amori, seppe amare e lodare le lingue straniere e la nazionale e i dialetti provinciali; amare, e lodare insieme, o pure sgridare con cuore d'amante, e l'Italia e Toscana e Firenze, sua nazione, sua provincia e sua città, tre modi di patria comprese l'una nell'altra. E non così poi Alfieri; il quale anch'egli, mescendo con simil natura severità, ire ed amori, dopo tante grida contro il paese suo, portava a cielo pure le poesie piemontesi del Calvi; diceva con sospiri, non iscriversi con tal grazia e spontaneità se non nel dialetto della balia, e in questa tentava poi di scrivere egli stesso. Ma di Dante e d'Alfieri molti sanno esagerare le ire, pochi sentire gli amori.
      Del resto, tutte le questioni dette, sono trattate nel primo libro del Volgare Eloquio; il più importante così per la storia della nostra lingua, per la vita e le opinioni di Dante.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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