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      Per la qual cosa, diceva quest'Andrea, ch'essa aveva fatto chiamare lui, siccome nepote di Dante; e fidategli le chiavi de' forzieri, l'aveva mandato con un procuratore a dover recare delle scritture opportune; delle quali mentre il procuratore cercava, dice, che avendovi più altre scritture di Dante, tra esse trovò più Sonetti e Canzoni, e simili cose. Ma tra l'altre che più gli piacquero, fu un quadernetto nel quale di mano di Dante erano scritti i precedenti sette canti; e però, preselo e recatosenelo, ed una volta e l'altra rilettolo, quantunque poco ne intendesse, pur diceva gli parevano bellissima cosa; e però diliberò doverli portare, per sapere quello che fossero, ad un valente huomo della nostra città, il quale in quelli tempi era famosissimo dicitore in rima, il cui nome fu Dino di messer Lambertuccio Frescobaldi. Il qual Dino, essendogli maravigliosamente piaciuti, e avendone a più suoi amici fatta copia, conoscendo l'opera piuttosto iniziata che compiuta, pensò che fossero da dovere rimandare a Dante, e di pregarlo che, seguitando il suo proponimento, vi desse fine: ed avendo investigato e trovato, che Dante era in quei tempi in Lunigiana con uno nobile huomo de' Malaspini, chiamato il marchese Moroello, il quale era huomo intendente, ed in singularità suo amico, pensò di non mandarli a Dante, ma al marchese, che glieli mostrasse; e così fece, pregandolo che, in quanto potesse, desse opera che Dante continuasse l'impresa, e, se potesse, la finisse. Pervenuti, adunque, li sette canti predetti alle mani del marchese, ed essendogli maravigliosamente piaciuti, li mostrò a Dante; ed avendo avuto da lui, che sua opera erano, il pregò gli piacesse di continuare la impresa.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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