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      Adunque, dice Dante, che nel mezzo di sua vita, ai 35 anni, quanti n'aveva appunto nell'aprile dell'anno del Giubileo 1300, ci si trovò per una selva oscura, selvaggia, et aspra e forte; e questa, al senso allegorico morale, certo è la selva de' vizii umani. Ma certo è pure Firenze, ch'ei chiama altrove trista selva, chiamando sè stesso pianta di essa, e selva pure altrove il regno di Francia: ondechè vedesi, che selva in generale ei chiamava il mondo di quaggiù, i regni, le città; e selva selvaggia Firenze, perchè allora nel 1300 ella era in mano alla parte Selvaggia de' Bianchi. La selva, dunque, è selva de' vizii, ma de' vizii fiorentini. Segue a dire, che non può spiegare come v'entrasse, tanto era pien di sonno quando v'entrò, abbandonando la vera via, cioè la fedeltà a Beatrice, la vita virtuosa tenuta per amor di lei fnchè ella visse; ed aggiugne, che la rimembranza di quel tempo tanto gli è amara, che poco è più morte. Dalla selva in fondo a una valle, ei giugne appiè d'un colle, e lo vede rischiarato in cima dal sole levante; cioè dalla scienza o filosofia umana e divina, a che egli aveva aspirato fin dalla morte di Beatrice. Ma tale studio, tal desiderio essendo stato già abbandonato da lui dall'anno 1293 fino al 1300 per la vita lussuriosa e giovanile, per gli uffizii, per le parti, per tutti i vizii fiorentini, ei dice ora qui, che da essi sotto figura di tre fiere, una Lonza, un Leone ed una Lupa, gli fu impedita la salita al chiaro monte. Quindi, non par dubbia l'antichissima interpretazione, che queste significhino, al senso morale, la lussuria, la superbia od ambizione, e l'avarizia.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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