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      Ma la lussuria è lussuria fiorentina, che fece pericolare Dante in quegli anni; la superbia è superbia principalmente dei Reali di Francia, e particolarmente di Carlo di Valois, che già minacciava Firenze nel 1300; e l'avarizia è quella dei Guelfi, che chiamansi Lupi in tutto il Poema. Così intese le tre fiere, ogni parola, ogni sillaba, non che intendersi, è fonte di bellezza.* Tutte tre s'oppongono alla salita di Dante al monte rischiaralo; ma la Lupa, la parte guelfa, è quella che gli dà la maggiore e l'ultima noja. Allora gli s'affaccia Virgilio, rappresentante della Poesia, anzi del pensiero stesso del Poema; il quale l'ammonisce, che per tal via diretta non gli riuscirà mai di salire al monte, impedito che sarebbe dalla Lupa; predice le malvagità e le vicende di questa, cioè di parte guelfa, finchè ella non sarà vinta da un Veltro, cioè un ghibellino dell'Italia meridionale,* che certo volle dire Uguccione a cui è dedicata la Cantica. Adunque, continua Virgilio, gli è mestieri prendere altra via. Torni al pensiero del Poema; scenda con esso all'inferno, al purgatorio; saliranne egli poscia con un'anima più degna al paradiso. E a ciò consente Dante animoso, dandosi tutto a Virgilio, al Poema.
      Ma essendo già passata la prima giornata e cadendo la notte, Dante si sgomenta; e sono quindi accennati i dubbii, le interruzioni al Poema. Volgesi egli al suo duce Virgilio. e gli rappresenta, che potè sì scendere all'inferno Enea, padre di Roma, prestabilita sede de' papi; e scesevi San Paolo, il vas d'elezione: ma egli non è da comparare all'uno o all'altro, e teme sia follia il suo ardire.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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