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      Finisce poi tutto ciò con queste predizioni di Beatrice:
      Non sarà tutto tempo senza redaL'aguglia che lasciò le penne al carro,
      Perchè divenne mostro, e poscia preda;
      Ch'io veggio certamente, e però 'l narro,
      A darne tempo già stelle propinque,
      Sicure d'ogni intoppo e d'ogni sbarro,
      Nel quale un cinque cento dieci e cinque,
      Messo di Dio, anciderà la fuja,
      E quel gigante che con lei delinque.
      E forse che la mia narrazion buja,
      Qual Temi e Sfinge, men ti persüade;
      Perchè a lor modo l'intelletto attuja.
      Ma tosto fien li fatti le Naiàde
      Che solveranno quest'enigma forte,
      Sanza danno di pecore e di biade.
      Tu nota, e sì come da me son porteQueste parole, sì le insegna a' vivi.
      Purg. XXXIII. 37-53.
      Il cinquecento dieci e cinque è da tutti interpretato per le tre lettere D. X. V., le quali intervertite fanno DVX, che significa capitano. Certo, debbe intendersi un capitano ghibellino, minacciato qui alla curia romana ed alla Parte guelfa. Ma se questo sia Uguccione allora principal capitano ghibellino in Toscana, o Can della Scala che già si faceva tale in Lombardia, o un nuovo imperadore sperato in Italia, è impossibile determinare con certezza; benché forse, da quanto siamo per vedere, è più probabilità per Uguccione.672 Ma forse non era determinato nemmeno nella mente di Dante, il quale volle far qui non più che una minaccia indistinta. E ad ogni modo, non importa a noi, se non per notare qual fosse l'animo di Dante in questi ultimi infelici Canti del Purgatorio. L'animo di nuovo abbujaio (forse dalla composizione della Monarchia) produsse in lui questi abbujamenti d’immagini, di stile, di parole, e di lettere stravolte.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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