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      Di Gemma, la moglie di Dante, non trovandosi ella accennata mai da lui, nè più da niuna memoria nè documento dopo il ritrovamento delle carte del 1306, non si può dire se ella pur vivesse in Firenze, nè se sopravvivesse al marito. Ma, quanto a quel silenzio di Dante sovra essa, qui è il luogo di aggiugnere questa osservazione: che uno pari ei serbò sempre sui numerosi figliuoli, sul padre, sulla madre, sua amorevole educatrice, su ogni suo congiunto, e, in generale, su tutta la sua vita domestica. Fu egli disprezzo, od anzi rispetto? Ad ogni modo, fu comune a tutti; e nulla se ne può inferire di speciale contro la troppo vituperata Gemma. Ma perchè non creder anzi, che fu effetto di quel pudore sentito da ogni animo gentile nel parlare al pubblico di sè, ed ancor più delle persone care e vicine? Una passione d'amore che fa vedere unica in terra e miracolo al mondo la donna amata, può sì portare un Dante a parlar di essa ai principi della terra, ed all'età presenti e future; ma fuor di tal caso, fu naturale che tornasse Dante alla ritenutezza regolare, ed al pudor del silenzio. Che Dante prendesse cura della educazione de' figliuoli, quanto almeno è possibile tra le calamità dell'esilio, e lasciando il resto di tal ufficio alla moglie, per ciò probabilmente rimasta in patria, già il vedemmo in più luoghi. Che si dilettasse di lor compagnia, il vediamo qui; e vedremo i figli non ingrati serbar devotamente la memoria del padre. E tuttavia il Petrarca (duolmi per esso, non Per Dante) così dice in una lettera: «Il padre mio cedendo alla fortuna dopo l'esilio, si dava tutto ad allevare la sua famiglia; mentre egli (Dante), opponendo fortissimo petto e perseveranza e amore di gloria, non si sviò dalla impresa, e pospose tutt'altre cure.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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