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      L'ingegno non s'imita, o male: ma imitar si possono sempre le virtù, e questa principalmente, ch'è, poi, madre di tutte l'altre. Niuno forse mai più non darà alla patria un tesoro di gloria e pensieri come Dante; ma aggiugniamo ognuno l'obolo nostro.
      Quanto poi alla gloria, special premio riserbato a' grandi, veggiamo ciò che ne pensò egli, e ciò quindi che gliene toccò.
     
     
      CAPO DECIMOSETTIMO.
      VICENDE DELLA GLORIA DI DANTE.
      (1321-1838).
     
      Non è il mondan rumor altro che un fiatoDi vento, ch'or vien quinci ed or vien quindi,
      E muta nome perchè muta lato.
      Che fama avrai tu più se vecchia scindiDa te la carne, che se fossi morto
      Innanzi che lasciassi il pappo e il dindi,
      Pria che passin mill'anni? ch'è più cortoSpazio all'eterno, che un muover di ciglia
      Al cerchio che più tardi in cielo è torto.
      Purg. XI.
     
      Chiunque paragoni il passo dell'Inferno XXIV, 47, dove è esaltata la gloria terrena, con questo del Purgatorio dove ella è ridotta al suo vero valore, potrà aggiugnere il nostro Dante alla serie di que' grandi che s'innamorarono della gloria, e si confortarono della speranza di essa nel principiare le loro fatiche, ma che ne sentirono la vanità, giunti che furono alla loro grandezza. Restano questi sì ancora talvolta superbi nel compararsi, ma umili sempre nel considerare sè stessi: e tal fu la superbia di Dante, troppo appostagli da molti. Modesto il diremmo anzi, e là dove ei si paragona e si mette sotto a Ovidio, e qui dove non sembra sperare mille anni alla gloria sua, che noi, dopo cinquecento veggiamo rinverdire.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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