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      A ventidue anni la povera giovane non aveva potuto trovar padrone, tanto il suo aspetto era ripugnante, sebbene a torto. In verità la sua testa sarebbe stata da ammirarsi a un granatiere della guardia. Costretta a lasciare una fattoria incendiata, dov'ella custodiva le vacche, era venuta a Saumur e vi cercò servizio, forte di quel coraggio che non si rifiuta a nulla. Papà Grandet aveva allora intenzione di ammogliarsi, e pensava di metter su casa. Vide quella ragazza che tutti respingevano e, da esperto bottaio, e quindi buon giudice della forza materiale, indovinò subito l'utile che si poteva trarre da una femmina simile a un Ercole, piantata sulle gambe come una quercia sessantenne, con i fianchi robusti e le spalle quadre, con mani da carrettiere e una probità intatta come la virtú di lei. Né i porri che ornavano quel volto marziale, né la tinta color caffé, né le braccia nervose ed i cenci della Nannina spaventarono il bottaio che si trovava tuttavia nell'età in cui palpita il cuore; egli vestí, calzò e nutrí la povera ragazza, assegnandole un salario e del lavoro senza troppo strapazzarla. Nel vedersi accolta a quel modo, la grossa Nannina pianse di gioia in segreto e si affezionò sinceramente al padrone, che usò con lei sempre un sistema feudale. Ella badava a tutto; cucinava, faceva il bucato, andava a sciacquare i panni nella Loira e li riportava sulle spalle; era in piedi di buon mattino, andava tardi a letto, preparava il desinare per gli operai al tempo delle raccolte, sorvegliava la vendita dei generi e difendeva come un cane fedele la fortuna del suo signore; insomma, fidando ciecamente in lui, obbediva a tutte le sue stramberie.


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Eugenia Grandet
di Onorato di Balzac
pagine 215

   





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