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      - Comincio a credere di aver buon giuoco a Saumur - mormorava Carlo tra sé e sé, sbottonandosi il soprabito e mettendo la mano nello sparato del panciotto, con lo sguardo errante per imitare la posa che Chantrey aveva dato a lord Byron.
      La distrazione di papà Grandet, per meglio dire, la preoccupazione che gli cagionava la lettura di quel foglio non sfuggiva al notaio e al presidente, i quali facevano ogni sforzo per indovinarne il contenuto dai moti impercettibili del viso, allora illuminato in pieno dalla candela. A stento il vignarolo riusciva a conservare la calma abituale della sua fisonomia, e non sarà difficile arguire quel ch'ei provasse leggendo la fatale lettera che segue:
      Fratello mio, sono ormai ventitré anni che non ci vediamo. In occasione del mio matrimonio ci trovammo insieme e ci lasciammo lieti tutt'e due. Certo non mi era dato prevedere che tu dovessi un giorno divenire il sostegno di quella famiglia alla cui prosperità allora plaudivi. Quando ti giungerà questa lettera io sarò morto; poiché, nella posizione in cui mi trovavo, non ho voluto sopravvivere all'onta di un fallimento. Mi son tenuto fino all'ultimo sull'orlo dell'abisso, sperando di vincere la vertigine; bisogna cadervi. La contemporanea bancarotta del mio agente di cambio e del mio notaio, Roguin, mi tolgono le ultime risorse, non mi lasciano piú nulla; ho il dolore di non poter offrire che il venticinque per cento su un debito di quattro milioni. I miei vini, in deposito nelle cantine, subiscono la concorrenza rovinosa prodotta dall'abbondanza e dalla qualità dei vostri.


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Eugenia Grandet
di Onorato di Balzac
pagine 215

   





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