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      Si mise calze nuove, le scarpe piú eleganti e, pungendola per la prima volta il desiderio di comparir graziosa, comprese d'un tratto quanta gioia possa aspettarsi da un abito ben fatto, che renda piú attraente. Terminata la toletta, udí suonare l'orologio della parrocchia, e si stupí di contare soltanto le sette. Per timore di non avere il tempo necessario per vestirsi bene, s'era levata troppo presto, ma, ignorando l'arte di accomodare dieci volte un ricciolo e di studiarne l'effetto, Eugenia incrociò semplicemente le braccia, sedette alla finestra, e si mise a contemplare il cortile, il giardino stretto e le alte terrazze che lo dominavano; una triste veduta nell'insieme, ma non priva delle misteriose bellezze proprie dei luoghi solitari o della natura incolta.
      Accanto alla cucina era un pozzo con parapetto di pietra e con la carrucola sostenuta da un braccio di ferro curvato, intorno a cui si attorcigliava una vite appassita, rossa, bruciata dalla siccità. Dal ferro passava sul muro, vi si attaccava, correva lungo la casa, e andava a finire nella legnaia, dove la legna era disposta con la stessa cura con cui son disposti i libri d'un bibliofilo. Il pavimento del cortile aveva tinte nerastre, prodotte col tempo dai muschi e dalle erbe, e le mura erano rivestite come d'una camicia verde, listata da lunghe strisce brune. Gli otto gradini, che in fondo al cortile menavano all'uscio del giardino, erano disgiunti e quasi sepolti sotto le piante, come la tomba di un cavaliere delle Crociate sepolto dalla sua vedova; sopra una fila di pietre mezzo consunte poggiava un cancello di legno marcio, cadente per antichità e tutto avvinto da piante rampicanti.


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Eugenia Grandet
di Onorato di Balzac
pagine 215

   





Eugenia Crociate