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      Nannina in un angolo filava, e il rumore delle sue ciabatte si sentiva di quando in quando sul pavimento grigiastro della sala.
      - Sembra che noi non usiamo piú le nostre lingue, - disse mostrando i suoi denti bianchi e grossi come mandorle sbucciate.
      - Non occorre usar nulla - rispose Grandet, scuotendosi dalla meditazione durante la quale gli sorrideva la prospettiva di otto milioni in tre anni e si vedeva già assiso su un monte d'oro. - Andiamo a letto. Vado sopra a dar la buona sera a mio nipote anche per provare di fargli mangiar qualche cosa. -
      La signora Grandet si fermò sul pianerottolo, per udire la conversazione che avrebbe avuto luogo tra Carlo e il vecchio, mentre Eugenia, piú ardita della madre, salí due gradini.
      - Ebbene, nipote mio, siete addolorato, piangete, ed è naturale, perché un padre è sempre un padre; ma bisogna anche sopportare con pazienza le disgrazie... Mentre vi struggete in lacrime, io mi occupo delle cose vostre... Sono un buon parente, io!.. Suvvia, un po' di coraggio! Bevereste un bicchier di vino? ... A Saumur non costa nulla il vino, e lo si offre come nelle Indie una tazza di tè. Ma... siete all'oscuro... Male! male... bisogna veder chiaro in ciò che si fa. - E mosse difilato verso il caminetto. - Ecco - gridò - ecco delle candele. Dove diavolo son andati a pescare delle candele di cera? Guasterebbero persino il pavimento della mia casa per cuocere delle uova a quel giovanotto. -
      Nell'udir queste parole, madre e figlia scapparono in camera e si misero a letto in un attimo, come topi spaventati che rientrano nei loro buchi.


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Eugenia Grandet
di Onorato di Balzac
pagine 215

   





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