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      Carlo Grandet fu quindi oggetto di cure affettuosissime, e il suo cuore affranto sentí piú forte la dolcezza di quella tenera amicizia, di quella simpatia squisita che le due anime sempre chiuse seppero spiegare trovandosi libere un momento nella loro sfera, la regione delle sofferenze. Per quella famigliarità che la parentela le consentiva Eugenia poté subito occuparsi a rassettare la biancheria, a mettere in ordine gli oggetti di toeletta che suo cugino s'era portati, e poté ammirare a suo agio i ninnoli di lusso, i gingilli d'argento e d'oro cesellato che le capitavano sotto mano e che ella godeva di toccare lungamente sotto pretesto di esaminarli. Al vivo e generoso interesse della zia e della cugina, una profonda commozione vinse il giovane, pensando come a Parigi nell'attuale suo stato si sarebbe visti innanzi solo volti gelidi o indifferenti; la fanciulla gli apparve allora fulgida di una speciale bellezza, e fu costretto ad inchinarsi di fronte a quella soave semplicità di costumi che la sera avanti aveva schernito. Sicché quand'ella prese dalle mani della domestica la tazza di maiolica piena di caffè alla crema, offrendola con la grazia ingenua dell'affetto, il Parigino ebbe le lacrime agli occhi e non poté trattenersi dallo stringerle la mano e baciargliela.
      - Ma via, che avete ancora? - chiese lei.
      - Oh, nulla; son lacrime di gratitudine - rispose.
      Eugenia si voltò verso il caminetto a togliere i candelieri.
      - Prendi, Nannina, porta via. -
      Quando arrischiò di posar nuovamente gli occhi sul cugino, era ancora molto rossa, ma riuscí a dissimulare nello sguardo l'immensa gioia che la invadeva; un sentimento identico parve accenderli entrambi e le anime loro fondersi in un sol pensiero: l'avvenire.


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Eugenia Grandet
di Onorato di Balzac
pagine 215

   





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